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Gelsomina Ferrara

Gelsomina Ferrara

pittrice e scultrice

Una finestra sul mondo

Solo dinanzi ad un artista così maturo, con un’antologia di opere create nell’arco di decenni, si può comprendere quanto la creatività possa essere una fonte di vita inesauribile.
Avendo la fortuna di conoscere Vitaliano Ranucci non solo come artista, ma anche come uomo e come amico, posso affermare che le sue opere incarnano perfettamente il suo universo interiore.
Un mondo fatto di sensazioni evocate da un ricordo, da immagini della memoria e soprattutto da un amore viscerale per la natura, per le tradizioni e per la bellezza della vita che ci circonda.​
È proprio il passato che torna inesorabile nella sua arte e ci riporta in una dimensione trascorsa, fatta di cose semplici, umili, vere e genuine.
La sua storia artistica è lontana dagli accademismi, la formazione è tutta all’interno della sua vita e del suo “essere”.
Mi piace considerare l’arte di Vitaliano Ranucci come una finestra sul mondo, attraverso la quale si possono ammirare infiniti scorci emozionali, generati da una ricerca artistica pura, quindi: paesaggi inondati di luce, soggetti dinamici racchiusi da linee sinuose e forti, caratterizzati sempre da una purezza cromatica assoluta che ne determina armonia ed equilibrio.
La creazione artistica di Vitaliano Ranucci è un fatto DIVINO, perché ci restituisce un bene prezioso: l’amore per la vita e la bellezza della semplicità.

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critica

Giuseppe Carcaiso

Giuseppe Carcaiso

storico, artista e amico

Quando si dice il caso

Pochi giorni fa, il tiepido sole di una primavera che sembra restìa a svelarsi in tutti i suoi colori e profumi, mi ha sorpreso in giardino a sfogliare un vecchio album di fotografie. Di certo si può facilmente immaginare cosa ci fosse dentro. Un po’ di tutto. Tante foto, ovviamente, e poi cartoline, vedute, biglietti per manifestazioni sportive e inviti per mostre e concerti.
Cose del genere, insomma. Ma una vecchia foto ha attratto subito la mia attenzione. Era il ritratto di un ragazzo che, coi libri in mano, mi stava aspettando accanto ad una fontanella. Sì, era proprio lui, uno dei miei più cari amici d’infanzia, che poi lo sarà per tutta la vita. Come si dice: “compagno d’armi e d’avventura”. Altre volte ero io che aspettavo lui. Abitavamo vicini e ogni giorno avevamo da fare la stessa strada: dovevamo recarci alla stazione ferroviaria per prendere lo stesso treno che ci avrebbe portato a scuola.
Alle “scuole medie”, avevamo manifestato una buona attitudine per il disegno e le arti figurative e sia il preside che i professori avevano consigliato ai nostri genitori di iscriverci per le scuole superiori a qualche Istituto d’Arte.
Purtroppo, questo suggerimento non poté essere accolto, perché a quell’epoca la maggior parte di questo tipo di scuola era accentrato a Napoli e i parenti non se la sentivano di inviare i loro ragazzi di tredici anni nell’ex capitale borbonica, infilarli su un treno alle sei e mezza di mattina (inverno compreso) e cacciarli nel caos, i pericoli e i rischi di una grande città verso cui loro, ragazzi di paese, non erano abituati.
Quindi discorso chiuso per l’arte? Neanche per sogno!!
I due ragazzi fecero gli studi verso i quali erano stati indirizzati, ma in effetti non avevano mai tralasciato di approfondire la loro vera e unica passione: l’Arte, sia pure ognuno per conto suo, e poi, magari a sera, si incontravano nella “main street” del paese dove vivevano e facevano delle lunghe e vivaci discussioni.
Vitaliano aveva finito con il maturare un forte attaccamento per i grandi pittori del Rinascimento italiano e non faceva altro che magnificare la strabiliante bellezza della pittura di Botticelli, Mantegna, Raffaello, Michelangelo, Giorgione e di tanti altri.
Quando cominciò a dipingere, quello che più stupiva in lui era questa sua costante ricerca di trovare nuove forme di espressione.
Dopo la tempera, l’acrilico e poi la pittura ad olio e poi, ancora, tentò addirittura l’affresco (e chi è del mestiere sa bene quanto sia cosa difficile).
L’esercizio continuo di tutte queste pratiche artistiche lo fecero approdare alla fine all’incisione dove il nostro artista, lavorando col bulino e con la punta secca, riuscì a trovare finalmente il suo più felice modo di esprimersi.
Così cominciò ad esporre le sue prime composizioni che un po’ dappertutto ebbero un buon successo. Incoraggiato dal felice esito di queste prime mostre, ne allestì delle altre che trovarono l’apprezzamento del pubblico e della critica. Altre ancora ne seguirono, sia in Italia che all’estero, mentre la sua vena artistica sembrava che si fosse ormai stabilizzata negli ambiti estetici disegnati dai grandi incisori come Pollaiolo, Mantegna, Parmigianino, Piranesi e quanti altri.
Vitaliano: un artista infaticabile e una produzione vastissima, che essendo pure in buona parte di piccolo formato, rischia di andare smarrita in qualche esemplare. Perciò familiari ed amici hanno pensato bene di raccogliere almeno il grosso di questa produzione in un volume che avesse una bella e sontuosa veste editoriale.
Avrei tante altre cose da scrivere, ma il tempo nol consente (!?)

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Pier Luigi Lo Presti

Pier Luigi
Lo Presti

critico

“Il discorso artistico di Vitaliano Ranucci è spontaneo ed intensamente vissuto, quasi un dialogo, dai toni a volte drammatici, tuttavia schivo e inizialmente trattenuto. L’opera nasce di getto: l’intuizione si sostituisce alla meditazione anche se elaborata in chiave di un realismo che ha ben compreso le suggestioni delle più moderne correnti figurative. I suoi lavori evidenziano tratti solo apparentemente lineari nella loro classicità, perché i tagli, le forme a volte tozze, svelano una malcelata drammaticità, una tensione silenziosa che ingannerebbe chi volesse leggerli prescindendo da una intensa analisi autocritica. La difficoltà del mezzo espressivo è anch’essa parte del discorso artistico di Vitaliano Ranucci, quasi che la irripetibilità del gesto creativo, la sua definitività, fossero il necessario suggello di un’operazione portata avanti senza meditazione, che non concede nulla al fruitore ma soprattutto nulla concede all’artista. E tuttavia è nel disegno (dove si ammorbidiscono certe durezze del tratto) che si placa l’intima tensione dell’artista senza che per questo venga meno la sua dolorosa partecipazione. Qui Ranucci sembra guardare al suo mondo poetico (ma mai irreale) con animo pacifico, a tratti gioioso: l’ispirazione si ferma a livelli più personali, si priva delle scorie, in una promessa di persuasiva maturità”.
Ho visto per la prima volta le incisioni di Vitaliano Ranucci un mattino, di un uggioso viaggio su un lento treno locale. Erano le sue ultime cose, le più mature, quelle naïf nelle quali si possono cogliere i segni di un’arte già personale, di una tematica sviluppata unitariamente, pur se con varietà di mezzi espressivi.
Parlammo a lungo.
Non delle opere, ma della campagna, di chi la lavora, degli incontri che ancor oggi vi si possono fare, quella umiltà di gesti eterni al di là di ogni retorica che mistifica “il buon mondo contadino”.
E le incisioni erano 16, sotto i nostri occhi, a punteggiare il discorso, ad alimentarlo, ad esserne partecipi illustrazioni.
Alla fine del viaggio, senza che nulla di esplicito fosse stato detto, la “personale” era stata decisa: Ranucci aveva superato quella ritrosìa che contraddistingue ogni vero artista quando deve mostrare al pubblico il frutto delle proprie intuizioni, delle proprie inquietudini.

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Jeroen Rooduijn

Jeroen Rooduijn

Napoli,
29 settembre 1978

“Sono arrivato a Napoli nell’estate del 1976. Sociologo olandese, ricercatore del nostro C.N.R., ci dovevo stare per due anni per motivi di studio. Anzi: mi ero impegnato a vivere in due paesi della Campania. Uno di questi paesi era Sparanise, il paese di Vitaliano Ranucci.

Ero colpito, allora, dalla speranza di molti Napoletani, meridionali, che si potesse cambiare qualche cosa in Italia, che, più specificamente, proprio la crisi economica potesse dare la spinta a risolvere la “questione Meridionale” in un modo nuovo. Erano stati in gran parte i risultati delle elezioni del 20 Giugno 1976 a farmi credere questo. Dopo due anni la situazione sembra rovesciata. 

Di cambiamenti, mi assicura la gente non ce ne sono stati molti. In molti, la speranza sembra spenta – o c’è addirittura la rassegnazione. Ci sono già i tentativi di “restaurazione”. Quello che colpisce adesso, nella non-speranza, è il frequente rifiuto di aspetti importanti della propria realtà sociale. 

E infatti, è molto logico questo rifiuto. In questi paesi del Mezzogiorno, Sparanise però, non è tra i peggiori! Magari manca un po’ di tutto. 

D’altra parte, col rifiuto non si cambia nulla.

Secondo me, è in questo quadro che si deve vedere l’arte di VITALIANO RANUCCI. Vitaliano non rifiuta. Vedendo le sue incisioni (e specie quelle delle scene paesane che, credo, siano le più belle), uno si rende conto che lui, in modo, sì, silenzioso, ma non meno e forse più efficace di come lo fanno altri, esprime la dignità degli uomini e delle donne di questa Terra di Lavoro, del loro lavoro e della loro vita.

È questo l’atteggiamento – certamente difficile per molte persone, ma diverse da Vitaliano – che ammiro in alcuni artisti italiani. 

C’è un CARLO LEVI, che nel suo libro “Cristo si è fermato a Eboli” descrive la realtà di un paese sperduto della Lucania, dove era, nota bene in confino politico. La descrive con più amore di tanti che a paesi del genere sono andati in piena libertà. C’è un PIERPAOLO PASOLINI, che in una sua poesia descrive appunto, questa Terra di Lavoro, in modo bellissimo, come cosa valida. (È a questa poesia di Pasolini che pensavo, quando leggevo che l’arte di Vitaliano Ranucci è stata chiamata “poesia visibile”). 

E’ questo di Vitaliano Ranucci l’atteggiamento del quale in questa situazione tanto difficile hanno bisogno i paesi come Sparanise, i paesi del Mezzogiorno d’Italia”.

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Prof. Ursini, critico

Prof. Ursini

critico

“Vi sono alcuni artisti che, pur nella piena autonomia del loro operare (o meglio: proprio per l’inevocabile originalità dei risultati della loro ricchezza espressiva) confermano la validità – addirittura la necessità – storica di un’ampia serie di proposte estetiche e di soluzioni linguistiche.
I più recenti risultati di Vitaliano Ranucci, ottenuti con il suo esercizio di incisore (un esercizio, si badi, perfettamente avulso dal consueto, ormai piuttosto stucchevole, giuoco culturale di avanguardia) osservano la necessitante bontà di un assai largo ricco filone della nostra incisione contemporanea: quello, per intenderci, dei Maestri: Cagli, Fazzini, Guttuso, Dalì e tanti altri. Certi moduli espressivi della rappresentazione del reale non possono trarre in inganno: la fantasia metafisica, il “visionarismo”, che ogni tanto vi serpeggiano, non sono certo d’attacco. Così come, con ogni evidenza, non sono d’attacco, le coraggiose, spesso ardue, modulazioni cromatiche e il luminismo talvolta sconcertante, ma sempre intonato e prezioso, che ne struttura la composizione.
Gli imprestiti di questa grafica non sono imprestiti dal museo né dalle monografie o dalle riviste d’arte: sono imprestiti dal tempo, dal pittorico, che la sensibilità creativa del Ranucci avverte in profondità, in modo del tutto diretto e spontaneo.
Questa individuazione della situazione stilistica del Ranucci motiva, d’altronde, e legittima, le più profonde, le più intime qualità della sua vocazione poetica; ne attestano l’autenticità e, al postutto, la genuinità, la originalità”.