Ritratto d'Artista
Ho sempre pensato che un artista debba essere un buon osservatore ma, anche, che è nella sua mente e nel suo cuore che egli crea la sua opera, mentre le mani sono solo un modesto anche se necessario strumento.
Se un’opera d’arte risiede innanzi tutto nel pensiero di chi la concepisce, è un’emozione a generarla come un miracolo, di cui le origini sono a noi sconosciute, anche se l’autore sa che questo sta succedendo dentro di lui.
L’artista ci insegna spesso che la vita è breve e per darle un senso bisogna essere dedicati a qualcosa di elevato, occorre viverla appieno. Ecco perché dà tutto se stesso per sperimentare la creazione dell’opera.
Dopo l’ispirazione, l’opera d’arte prende forma per sgorgare fuori in modo spontaneo e irrefrenabile.
Per raggiungere risultati considerevoli, però, occorre viverla l’arte e per lungo tempo, essere rapiti, sporcarsi con il colore, sperimentare le varie forme, dipingere per il piacere fine a se stesso, senza alcun tornaconto; occorre infervorarsi, esaltarsi.
Credo che nessuno sia più ambizioso, per non dire addirittura “superbo”, di un’artista che crea la sua opera, se è vero come ha detto un celebre critico d’arte, Vittorio Sgarbi, in una sua recente intervista, che “l’arte è la creazione dell’uomo in competizione con Dio…”.
E certamente chi arriva a mettersi, sia pure inconsapevolmente, in concorrenza con Dio veramente è, oltre che presuntuoso, temerario. Ecco perché si dice di un artista, o di un grande artista, che, spesso, è spinto da un “sacro furore”, quasi a farsi “perdonare”, con quella sacralità del moto artistico dell’atto, quella sua sfida, come a tentare di riconciliarsi con Colui con cui è venuto in concorrenza.
Credo, tuttavia, che l’arte di mio fratello, sia pure di grande impatto sul pubblico, nasca da un atteggiamento molto più umile e contenuto, anche perché più che creare lui è impegnato a ri-creare un vissuto troppo presto dimenticato.
Vitaliano, infatti, da anni porta avanti un lavoro accanito, profondo, coraggioso, vastissimo, indagando le varie forme espressive della sua arte per realizzare opere che siano capaci di riscoprire un passato memorabile per confrontarlo, con emozione e con nostalgia, con un contesto oggi così tanto mutato.
Ma portare alla memoria momenti, persone, mestieri di un tempo per lui non è solo un esercizio mentale o una rievocazione, ma, innanzi tutto, una celebrazione di un tempo che ritiene possa permeare ancora il nostro presente, offrendoci molti spunti di riflessione.
Questo suo intento si svela compiutamente specialmente nelle sue incisioni: la lastra è incisa, lasciando quasi sgorgare il sudore della fatica del contadino mentre ara i campi col vomere trascinato da una coppia di buoi; quasi si avverte il cigolìo di quello sgangherato carretto che avanza lentamente trainato da un vecchio asino; riusciamo a sentire il profumo dell’erba appena tagliata o il rumore del vento che culla, piegandole, le spighe del grano maturo…
E poi nei ritratti di tanta gente senti il brusìo festoso e scomposto dei frequentatori dell’osteria dopo una giornata di duro lavoro, mentre in quelle donne anziane, senza età, avvolte nei loro scialli neri, sedute a chiacchierare sull’uscio delle case, puoi ricordare, se non addirittura riconoscere, una tua lontana parente o una vecchia comare.
E vedi case diroccate, antichi tratturi e strade sconnesse e il tuo pensiero va alle persone, ai nostri avi che le hanno abitate, o a chi ha percorso quelle strade, quasi ad indicarci ancora oggi la strada giusta da seguire.
Ecco perché lo spettatore, guardando i quadri di Vitaliano, catapultato in quel piccolo mondo antico che non ha conosciuto o che ha vissuto tanto tempo fa, prova un forte sussulto nel cuore.
Un artista della memoria, allora? No, o, almeno, non solo; penso, piuttosto, che l’intento di Vitaliano sia sempre stato, innanzi tutto, quello di riportare nel presente il valore delle nostre radici alla base di una cultura contadina che ancora oggi, miracolosamente, sopravvive, rispecchiandosi nella laboriosità, nel senso del sacrificio, nella solidarietà di una comunità che può guardare appunto al passato per non smarrire il senso di via del presente.